In questo racconto breve vi porto oltre l’orizzonte delle cose note, là dove abitano meraviglie dimenticate
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Oltre l’orizzonte delle cose note c’è una casetta.
Abitata da minuscoli e strani personaggi.
A non tutti è dato vederla, e non perché non abbiano gli occhi, semplicemente perché hanno dimenticato di attivarglieli, o forse — e questa è la mia peggiore ipotesi — dei bontemponi (o perlomeno io credo siano tali) hanno pensato bene di staccare i fili che collegavano i bulbi ai centri di comando.
È facile.
Basta staccare il filo blu, come nelle lampadine, ed il gioco è fatto.
La lampadina non si accende più.
Hai voglia a premere l’interruttore, proprio non va.
Quelli a cui gli occhi funzionano, ci hanno provato a riattaccarli con il nastro adesivo, ma si sa, per questi lavori occorre una certa esperienza.
La buona volontà, a volte, non basta.
I cavi si staccano di continuo, e tutt’al più quel lavoro rabberciato funziona ad intermittenza.
E allora giù a pensare a come fare.
Una lampada a gas potrebbe andare bene?
No, il gas è una risorsa che finisce in fretta, e poi si dovrebbe ricaricare il serbatoio troppo spesso.
A gasolio? No.
A benzina? Neanche, per i medesimi motivi. E poi inquinano.
L’altro giorno, mentre giravo per strada come al solito — e come al solito mi guardavo curioso attorno (che brutta abitudine, a qualcuno potrebbe venir in mente di arrestarmi) — ho notato uno di quelli, sai, quelli con il nastro adesivo raffazzonato.
Si è arrestato su due piedi e, felice, ha compiuto una giravolta perfetta, una piroetta manco fossimo alla Scala.
L’applauso lo meritava tutto.
Un attimo dopo, niente.
È tornato a camminare dritto e impettito, serio come la barba di Noè.
L’ho osservato a lungo, poi mi son fatto coraggio e l’ho fermato.
Inutile dirlo, si è arrabbiato, e come si è arrabbiato: mi ha guardato con gli occhi stralunati, come se fossi un pazzo, e senza proferir parola ha ripreso, lento, il cammino, come se nulla fosse accaduto.
Ebbè, sicuramente si saranno staccati nuovamente i fili.
Io propendo per il rosso.
E poi dicono che sono quello che si perde continuamente, che non riesce a seguire una traiettoria — figuriamoci il filo, intendo quello del discorso.
È perché in quella piccola casina che si perde dietro l’orizzonte delle cose note abitano personaggi alquanto bizzarri.
Ognuno si dà un gran da fare per prendere il sopravvento, ma senza rabbia, così per gioco.
Ed a volte ci riesce uno, e poi l’altro.
E allora corri dietro prima l’uno, poi l’altro.
E tutti hanno qualcosa da insegnarti o semplicemente farti notare.
Come fanciulli allegri e curiosi ridono, ballano, recitano, suonano, e — se ti metti in posa — ti fanno anche una bella caricatura divertente da attaccare al frigorifero.
Ed io?
Il volto mi si illumina ogni volta che imparo qualcosa di nuovo.
Le labbra si divertono e spesso cantano, le gambe danzano, gli occhi fermano il tempo ed a volte piangono — per la commozione, s’intende.
Vabbè, caro mio, fatti la barba che si è fatto tardi.
© 2025 Carlo Importuna — Tutti i diritti riservati.
Ogni racconto è un piccolo viaggio: grazie per aver camminato piano con me
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